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Siamo tutti un po’ piazzisti

3 min readSep 1, 2025

Come l’epica dei social ha modificato il modo di promuoversi e presentarsi

In principio era Mastrota, le sue trasmissioni a cominciare dagli anni Novanta hanno sicuramente formato una certa estetica del televenditore e hanno individuato una tipologia, snobbata dai più come attività quasi minore (malgrado il successo di vendite).
Poi la tv ha ceduto il passo ai social e quel meccanismo lì, alla fine ha contaminato tutti noi.

L’autopromozione con una vita e un lavoro in vetrina, più o meno costantemente comunicati, ci ha forgiato in tanti piccoli venditori di noi stessi, con quelle caratteristiche tanto invise in passato.

L’epica di LinkedIn in base alla quale la carriera è simile a una raccolta punti e brilla quanto le famigerate pentole vendute in gita a 99.99 lire, è sfociata nell’esaltazione del personal branding, a volte fai da te, a volte curato da specialisti del settore.
Spesso immagino tanti Rockerduck che davanti ai trionfi dei competitor (perché su LinkedIn è quasi tutto enfatizzato), siano intenti a mangiarsi la bombetta, meditando vendetta.

Il numero totale di utenti registrati su LinkedIn nel mondo nel 2025 è attorno a 1 miliardo, con una base di utenti attivi mensili che può superare il miliardo, mentre in Italia gli utenti registrati sono oltre 23 milioni

Il fenomeno è macroscopico nell’ambito del commercio, o meglio dei commercianti. Perché se è evidente che il grosso dello shopping si svolge online e quindi è necessaria anche una presenza in rete dei punti vendita, ciò che è dilagante è la trasformazione dei proprietari di negozi in veri e propri “caratteristi”, protagonisti di reel basati su quei meccanismi “mastrotiani” di cui dicevamo (diversi dai tutorial before/after tipo quelli dei parrucchieri, truccatori, pasticceri e altre arti applicate che sono un discorso ancora diverso).

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La mia raccolta di commercianti performer si arrichisce ogni giorno di più, e spesso mi sorprende, perché anche i negozianti più paludati o blasonati, si sono lasciati convincere a diventare interpreti di contenuti per vendere un reggiseno contenitivo, abiti da cerimonia, scarpe, cappelli, tisane etc etc. cose che normalmente avrebbero proposto al cliente entrato in negozio. Ed è un profluvio di accenti regionali, dialetti, balletti, incipit d’effetto (di solito ognuno ha il suo) e passeggiate con nuovi outfit fuori dal negozio per improbabili sfilate. C’è chi si lancia anche in commenti sull’attualità, la cronaca, la politica, domande ai follower. E infine ci sono le dirette, in cui la sovrapposizione con la televendita d’antan diventa totale.

A volte si scoprono anche dei veri e propri personaggi, provocando una crossmedialità che fa passare dal social alla conferenza in presenza, dalla trasmissione tv al podcast. In questo caso il negoziante diventa ambassador del suo negozio e direttamente opinion leader.

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Giorgina Siviero, 562.000 follower su Instagram dall’account del suo negozio torinese San Carlo dal 1973

Ma al di là di rari casi come Giorgina, dove la personalità, l’abilità di gestione dei media e la ricchezza di contenuti fanno davvero la differenza, per tutti gli altri invece normalizzare la rappresentazione di sé stessi sia per un colloquio di lavoro o un posto da speaker in un Ted, sia per vendere un prodotto, significa accettare un format che declina la propria vita, di cui diventiamo interpreti e la cui lettura sempre più spesso coincide con quella degli analytics.

“In the future, everyone will be world-famous for 15 minutes”
Andy Warhol (o chi per esso)

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