Siamo tutti un po’ piazzisti
Come l’epica dei social ha modificato il modo di promuoversi e presentarsi
In principio era Mastrota, le sue trasmissioni a cominciare dagli anni Novanta hanno sicuramente formato una certa estetica del televenditore e hanno individuato una tipologia, snobbata dai più come attività quasi minore (malgrado il successo di vendite).
Poi la tv ha ceduto il passo ai social e quel meccanismo lì, alla fine ha contaminato tutti noi.
L’autopromozione con una vita e un lavoro in vetrina, più o meno costantemente comunicati, ci ha forgiato in tanti piccoli venditori di noi stessi, con quelle caratteristiche tanto invise in passato.
L’epica di LinkedIn in base alla quale la carriera è simile a una raccolta punti e brilla quanto le famigerate pentole vendute in gita a 99.99 lire, è sfociata nell’esaltazione del personal branding, a volte fai da te, a volte curato da specialisti del settore.
Spesso immagino tanti Rockerduck che davanti ai trionfi dei competitor (perché su LinkedIn è quasi tutto enfatizzato), siano intenti a mangiarsi la bombetta, meditando vendetta.
Il fenomeno è macroscopico nell’ambito del commercio, o meglio dei commercianti. Perché se è evidente che il grosso dello shopping si svolge online e quindi è necessaria anche una presenza in rete dei punti vendita, ciò che è dilagante è la trasformazione dei proprietari di negozi in veri e propri “caratteristi”, protagonisti di reel basati su quei meccanismi “mastrotiani” di cui dicevamo (diversi dai tutorial before/after tipo quelli dei parrucchieri, truccatori, pasticceri e altre arti applicate che sono un discorso ancora diverso).
La mia raccolta di commercianti performer si arrichisce ogni giorno di più, e spesso mi sorprende, perché anche i negozianti più paludati o blasonati, si sono lasciati convincere a diventare interpreti di contenuti per vendere un reggiseno contenitivo, abiti da cerimonia, scarpe, cappelli, tisane etc etc. cose che normalmente avrebbero proposto al cliente entrato in negozio. Ed è un profluvio di accenti regionali, dialetti, balletti, incipit d’effetto (di solito ognuno ha il suo) e passeggiate con nuovi outfit fuori dal negozio per improbabili sfilate. C’è chi si lancia anche in commenti sull’attualità, la cronaca, la politica, domande ai follower. E infine ci sono le dirette, in cui la sovrapposizione con la televendita d’antan diventa totale.
A volte si scoprono anche dei veri e propri personaggi, provocando una crossmedialità che fa passare dal social alla conferenza in presenza, dalla trasmissione tv al podcast. In questo caso il negoziante diventa ambassador del suo negozio e direttamente opinion leader.
Ma al di là di rari casi come Giorgina, dove la personalità, l’abilità di gestione dei media e la ricchezza di contenuti fanno davvero la differenza, per tutti gli altri invece normalizzare la rappresentazione di sé stessi sia per un colloquio di lavoro o un posto da speaker in un Ted, sia per vendere un prodotto, significa accettare un format che declina la propria vita, di cui diventiamo interpreti e la cui lettura sempre più spesso coincide con quella degli analytics.
“In the future, everyone will be world-famous for 15 minutes”
Andy Warhol (o chi per esso)
