La rivincita del QR Code
Fino a due anni fa sembrava morto e sepolto, nessuno lo usava, poi è arrivata la pandemia
Una decina di anni fa convincere un cliente a stampare il QR Code su un materiale promozionale ci sembrava quasi un’impresa impossibile: proponevamo una tecnologia semisconosciuta e in più anche poco pratica, perché ancora legata al download di un’app per la codifica.
Il Qr Code (QR sta per Quick Response) è stato sviluppato nel 1994 in Giappone dalla Denso Wave, per tracciare i componenti automobilistici nelle fabbriche Toyota. Da qui - anche grazie al fatto che il codice fosse open source - il QR si è diffuso parallelamente alla crescita del mobile, ma senza prendere veramente piede. Forse quel suo aspetto troppo simile a un codice a barre lo rendeva poco attraente e oscuro, così gli utenti non ne comprendevano a pieno la potenzialità. Solo chi come noi ne è stato da sempre un convinto sostenitore, continuava a piazzarlo su diversi materiali dai packaging ai biglietti da visita (anche nella variante VCard).
Poi qualcosa è cambiato. Il QR Code ha trovato un posto d’onore nella gestione dei dati in pandemia grazie alla sua accessibilità e massima riproducibilità. Facile da ottenere grazie a molti siti che lo generano free, riproducibile anche in formati piccoli e su differenti device, ha iniziato a campeggiare su vari materiali per linkare differenti informazioni, dal menù della pizzeria al modulo per la vaccinazione. Ma è con la comparsa del famigerato Green Pass che è stato sdoganato definitivamente, diventando uno strumento quotidiano, che tutti ormai conoscono e sanno usare.
Persino Amadeus durante il quiz preserale “I Soliti Ignoti” richiama sullo schermo l’apparizione del Qr Code, creando un momento metamediale, in cui la tv si incrocia davvero con il web.
